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venerdì 1 agosto 2014

Chiamate la levatrice


Chiamate la levatrice, di Jennifer Worth.

Ho deciso di sfoltire la TBR durante l'estate, ed uno dei primi prescelti è stato Chiamate la levatrice, libro acquistato dopo un episodio di telefilm (che finalmente è in onda anche da noi, ma devo capire come Call the midwife sia diventato L’amore e la vita che fa tanto soap opera brasiliana).

La cronaca, quasi un diario, delle giornate di una levatrice nell'East Side di Londra inizi anni Cinquanta. Con lei si entra nella realtà delle Docklands, vite proletarie che sembrano immagini della plebe ottocentesca più che cittadini lavoratori del democratico Novecento. Si entra in questa desolazione impensabile con una voglia di verità quotidiana raramente riscontrabile in un libro, ma anche con una rispettosa allegria, con la sicura fiducia che quel mondo stia per finire, senza rimpianti, grazie ai radicali cambiamenti apportati dal Sistema sanitario nazionale appena nato. Come poi fu, almeno fino ad oggi. La fresca verve di Jennifer Worth, nel trattare una materia così cruda, crea una formula ingegnosa (e di grande successo sia letterario che come fiction televisiva). L'eroismo quotidiano di interventi clinici spesso drammatici, si mescola alla denuncia sociale, alla fiamma inestinguibile dei sentimenti umani, e alla ricchissima quantità di storie e ritratti. Accanto a questi, la galleria, tenera, nobile e a tratti comica, delle giovani levatrici e delle suore del convento di Nonnatus House, da cui le ragazze dipendevano professionalmente e dove abitavano. Su questa testimonianza aleggia un lieve "effetto Dickens" con un tocco di innocente gaiezza, che però non nasconde un monito evidente a favore delle politiche sociali solidaristiche, a non smantellare, per la scarsa memoria del passato, gli strumenti che hanno permesso di diffondere dignità umana.

Io durante e dopo questo libro
Questo libro racconta una storia vera. Anzi, storie vere.
Parte da una premessa semplice: perché nessuno parla mai delle levatrici? Personalmente ho sempre pensato che la levatrice fosse una figura più folcloristica che professionale, una figura destinata a sparire nel momento in cui prende piede un servizio sanitario nazionale. Beh, direi che ero una piccola ignorante piena di pregiudizi: in Inghilterra a quanto pare le levatrici sono state il momento in cui prende piede un servizio sanitario nazionale, permettendo agli strati più bassi della popolazione, agli ultimi tra gli ultimi, di avere un minimo di assistenza. Un diritto per cui hanno lottato le levatrici stesse – o le donne destinate a diventarlo – chiedendo una formazione medica e affermando il diritto di ogni donna a mettere al mondo un figlio assistita da qualcuno che sa quello che fa. E che non chiede una cifra impossibile da pagare.
Jennifer Worth racconta la sua esperienza di infermiera negli anni ’50. Ragazza borghese, laica, uscita dalla scuola e dall’ambiente protetto dell’ospedale, che si ritrova a Nonnatus House, un convento, insieme alle suore. Sconcerto e vago senso di condiscendenza per poi rendersi conto di avere di fronte donne estremamente competenti che stanno seguendo una doppia vocazione, una vita di servizio due volte. E il crescente rispetto per le pazienti: donne perennemente con un bimbo in pancia, uno nella culla e uno attaccato alle sottane. Donne sporche, case sporche, bambini sporchi. Il comprensibile disgusto di fare una visita ginecologica a chi non ha l’acqua corrente in casa.
E rendersi conto, con vergogna, della forza che serve per occuparsi dei figli, per tenere la casa, semplicemente per fare la spesa quando hai cinque bambini appresso – di cui uno in carrozzina – e salire le scale, e vivere in dieci in due stanze.
Vedere la miseria vera, capire di essere privilegiati, e mettersi a lavorare per loro, lottando con i pregiudizi e le paure che chi, cresciuto con qualcosa, non può capire... come la diffidenza verso l'ospedale, soprattutto nelle persone che ancora ricordano i terribili ospizi per i poveri. L’autrice, comunque, non scrive il libro Cuore: sta ben lontana da facili patetismi, dipingendo con uno stile fluido e vivace il mondo delle levatrici, quello delle pazienti e il momento in cui si incontrano (gravidanza e parto), usando la caratterizzazione della sé stessa di allora come avatar del lettore: con lei siamo scioccati dalle condizioni delle Docklands, con lei arriviamo poco a poco a capire.
Usa tutto ciò per mostrare un mondo che ormai non esiste più, per mostrare qual è la strada che si è percorsa… e per fare luce su un’aspetto della storia passato in sordina. È un libro che riesce ad essere divertente, commuovente ed agghiacciante.
È, soprattutto, un libro di donne.



11 commenti:

  1. Effettivamente, il titolo italiano del telefilm forse poteva essere pensato con un pò più di giudizio! :p anyway, la storia sembra molto intensa e il tema decisamente interessante: penso di non essermi mai soffermata particolarmente neppure io a pensare alla levatrice come "vera" figura professionale, ma forse è solo perchè si tratta di un mestiere che sentiamo legato al passato, qualcosa di vago e un poco misterioso, un pò come le vite dei nostri nonni prima della famiglia! ^___^

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    1. Infatti, per me è proprio quello il fascino e il modo in cui l'autrice ha deciso di impostare la narrazione *-*

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  2. Mi ispira molto, anche se i libri della Sellerio - bho - non li compro mai. Troppo cari!

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    1. In genere evito i libri troppo cari ma questa volta... è stato amore.

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  3. Ho visto la pubblicità della serie tv, ma sinceramente non la seguirò u.u il romanzo invece se me lo trovo tra le mani gli darò una occhiata...

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    1. Per me meritano tutti e due, anche se sulla serie televisiva non potrei dire nulla perchè ho visto solo due episodi :P

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  4. Ciao Katerina, ho letto alcuni tuoi articoli e mi sono piaciuti così mi sono unita ai tuoi lettori fissi, se ti va di passare da me e di unirti al mio blog, mi farebbe molto piacere! Mi trovi qui: amicadeilibri.blogspot.it ^__^

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  5. "L'amore e la vita" fa tanto fiction con Gabriel Garko :-/
    Comunque non conoscevo né il libro né la serie, mi toccherà rimediare!

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    1. I titoli italiani colpiscono ancora. E sì, ti tocca rimediare u_u

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  6. Non lo conoscevo, ma ora ho tutte le intenzioni di rimediare! :)

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