Questo libro appartiene ad un genere per me nuovo: le memorie. Non è un'autobiografia, né un romanzo storico vero e proprio: è una donna che analizza un determinato periodo della sua vita, usando come base i suoi diari e le sue lettere.
Nel 1933 Vera Brittain pubblica “Testament of Youth”: attraverso la propria storia, vivida e sincera, raccoglie le sue memorie e lascia come testamento ideale e come tributo a una generazione perduta, quella spazzata via dalla grande guerra, questo libro acclamato fin da subito come un classico della letteratura inglese.
Nel 1914 Vera si affaccia alla giovinezza. È brillante, anticonformista e decisa a cambiare un destino di moglie gentile e madre paziente, diventando una delle prime donne ammesse in un selettivo college di Oxford.
Con l'egocentrismo dei suoi vent'anni, inizialmente Vera considera la grande guerra soprattutto una scomoda interruzione delle proprie attività, ma la portata degli eventi che stanno travolgendo l'Europa diventa presto chiara: la devastazione non è solo materiale, ma anche psicologica e spirituale.
Lasciata Oxford, Vera serve la patria a Londra, a Malta, in Francia come infermiera volontaria, mentre il fratello, il fidanzato, gli amici più cari perdono la vita nelle trincee. Sopravvivere a tutto e tornare a un nuovo genere di ''normalità'' non sarà facile.
Dopo una risurrezione difficile ma necessaria, divenuta scrittrice e giornalista, Vera non racconta soltanto la disillusione e il dolore, ma anche il cammino di maturazione delle idee per le quali ha combattuto tutta la vita, armata solo della sua penna: pacifismo e lotta per i diritti delle donne.
Non avevo mai sentito nominare Vera Brittain, eppure, riguardando adesso a quella che è stata la sua vita, si può dire che è stata una donna come minimo interessante e con obbiettivi importanti: nata a fine dell'800 quando da una figlia ci si aspettava solo che puntasse al matrimonio, lei ha lottato per studiare diventando una delle prime ragazze ammesse ad Oxford.
Voleva essere economicamente indipendente, questa ragazza anticonvenzionale, e non voleva scegliere tra la famiglia e la carriera: voleva tutte e due. Sogni che aprono la strada al femminismo, alla lotta per i diritti delle donne, accompagnati da tutta la determinazione necessaria a metterli in atto.
Eppure la voce della Vera adulta è quella di una donna che guarda una bambina pretenziosa che non aveva capito niente del mondo e della vita... perchè l'anno del suo ingresso ad Oxford è quello dello scoppio della Prima guerra mondiale, che spazzerà via ogni cosa.
L'autrice non ha l'obbiettivo di raccontare la Grande Guerra, dando per scontato che noi conosciamo i fatti salienti e si concentra invece sulle conseguenze più umane e personali del conflitto, parlando della sua generazione, di ragazzi e ragazze troppo giovani per avere voce in capitolo, per poter influenzare gli eventi che hanno portato alla guerra eppure grandi abbastanza per andare in trincea a combatterla.
La cronaca del terribile impatto della guerra su ragazzini che avevano appena vent'anni quando sono partiti, e sempre venti quando sono tornati, rende - per una volta - il titolo italiano azzeccato quanto quello originale: Generazione Perduta non si riferisce solo all'altissimo numero di caduti, ma anche a chi è sopravvissuto perdendo innocenza e sogni, sacrificando la giovinezza sull'altare di una guerra terribile e dalla discutibile utilità.
Mentre andavo avanti nella lettura continuava a tornarmi in mente un discorso di mia madre, ossia che se nella Seconda guerra mondiale si può quasi parlare di bene contro male e di uno schieramente che non doveva vincere, nella Prima emerge invece la profonda stupidità di chi comandava. Le parole di Vera Brittain non fanno che confermare la sua affermazione: è spietata nel dipingere la bieca manipolazione dell'idealismo dei giovani per spingerli ad arruolarsi, nel condannare le alte sfere pronte a sacrificare centinaia di soldati per spostare la linea del fronte di cinque metri, nel criticare regolamenti assurdi (se un'infermiera in servizio all'estero tornava in patria per qualsivoglia motivo, dopo non poteva tornare indietro a prescindere dall'esperienza), nel mettere in croce l'incapacità della società vittoriana di prepararli alla parte peggiore della vita, di fargli capire che si può morire anche a vent'anni.
I diari di Vera, la sua corrispondenza col fidanzato Roland, con gli amici e il fratello, mostrano un gruppo di ragazzi dolorosamente ingenui e romantici, talmente... giovani da preoccuparsi di tornare a casa senza neanche una ferita a dimostrare il loro essere stati in battaglia, senza pensare che potrebbero anche non tornare.
Testament of Youth - Generazione Perduta è il racconto dell'agonia e della morte della giovinezza, di persone che sono state uccise o che hanno perso per sempre la possibilità di guardare al futuro con serenità e fiducia, prima ancora di poterlo fare.
A questo punto sarebbe logico pensare che il libro finisca con la fine della guerra, invece va avanti: si può dire che è diviso in tre parti. La prima che descrive gli anni della pace, la seconda che copre il conflitto, e la terza in cui si vede il dopoguerra e il modo in cui Vera cerca di ricostruire la sua vita dopo essere sopravvissuta a tutti gli amici più cari, dopo aver perso tutte le persone con cui credeva che avrebbe condiviso il futuro.
Si tratta di un libro che mi ha colpita moltissimo: per qualche motivo ho sempre finito per interessarmi ad opere che trattavano della Seconda guerra mondiale - ritenendo ingenuamente la Prima meno interessante - perciò salve realtà e universo a cui piace colpirmi nelle mie piccole certezze. Ho trovato anche interessantissimo il momento della "venuta al mondo" di quest'opera: si tratta di un libro scritto e pubblicato quando la Seconda guerra non era ancora scoppiata e il grande conflitto che tutti ricordavano era un altro.
Ma non è un romanzo adrenalinico: è intimo, segue la guerra solo dal punto di vista di una persona e in termini generali parla solo dell'Inghilterra. Vera e le persone a lei care appartenevano alla borghesia, erano ragazzi che studiavano letteratura e musica, e si sente quanto guardassero al mondo con gli occhi di ha letto i grandi classici e spera di applicare valori idealizzati alla vita vera: possono risultare pretenziosi, anche se a me hanno fatto una grandissima pena. Non avevano capito niente, e nessuno li ha protetti, anzi. Hanno sfruttato la loro stupidità per mandarli al macello.
Insomma, a me è piaciuto ma ritengo sia uno di quelli che o piacciono o annoiano a morte.
Poco abituato anch'io al genere "memorie", non l'ho letto, ma ho adorato o quasi il film con (una straordinaria) Alicia Vikander. Mai pietoso, mai eccessivamente melodrammatico, eppure potente. Che vita, e quanti dolori.
RispondiEliminaHo visto il film poco dopo aver finito il libro: bello e potente. Ho trovato la storia di Edward ferito e salvato da Vera un cambiamento eccessivo che per me ha sforato nel melodramma da cinema e ho sentito la mancanza della Vera adulta, ma alla fine non ho potuto non commuovermi come durante la lettura.
EliminaL'ho visto in giro e l'ho evitato come la peste, un po' perché sembrava un caso editoriale, un po' per la copertina che non mi ispira assolutamente fiducia. Forse potrei dargli una possibilità (spero ce l'abbiano in biblioteca).
RispondiEliminaÈ stato un caso editoriale, però negli anni '30. Non so se vale ancora :P
EliminaLa copertina, purtroppo, è un'immagine del film :( quelle originali sono meno da romanzo rosa (poi a me mettere le immagini degli attori in un libro dove si parla di gente vera di cui esistono foto pare un po' di cattivo gusto)
Le memorie non sono un genere con cui abbia grande dimestichezza e sinceramente il periodo storico non mi aiuta, come inizia il '900 finisce il mio interesse, anche se non capisco perché il '900 mi stia così antipatico!!
RispondiEliminaMa la tua recensione mi ha incuriosito molto... magari prima o poi riuscirò a leggerlo! :)
Chissà, magari sarà l'eccezione alla regola :)
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