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venerdì 1 marzo 2019

A silent voice

A silent voice, di Yoshitoki Oima.

E si torna a parlare di manga. In effetti potrei anche riagganciarmi alla recensione di Figli di Sangue e Ossa, perché pure qui siamo di fronte ad un'opera prima che vuole parlare di temi importanti ma con un risultato completamente diverso.

A silent voice è uscito in italia qualche anno fa pubblicato dalla Star Comics, è composto da sette volumi ed è ufficialmente uno shonen, ma cavolo se non è uno di quelli atipici, oltre che uno di quelli che ti prende un milione di parole spiegare semplicemente la premessa su cui si basa (complice uno dei prologhi più lunghi ever, perché i flashback sono per i vigliacchi, i coraggiosi sono quelli che ti piazzano l'antefatto tutto in una volta).
Shoya Ishida, il protagonista, è un bambino delle elementari vivace, un po' il trascinatore del suo gruppo, la cui vita procede tranquilla finché nella sua classe non si trasferisce una nuova alunna, Shoko Nishimiya, una ragazzina sorda che usa un quaderno per comunicare con gli altri.
Inizialmente i bambini fanno a gara per aiutarla, ma quando diventa evidente che l'aiuto di cui la ragazzina ha bisogno è costante e - soprattutto - rallenta gli altri, l'ondata di solidarietà si trasforma prima in fastidio e poi in veri e propri atti di bullismo, compiuti principalmente da Shoya che ha deciso di farsi portavoce del disagio della classe.
Solo che la cosa sfugge di mano, e quando finalmente gli adulti decidono di intervenire Shoya diventa il capro espiatorio dell'intera faccenda e vittima di bullismo a sua volta. Un bullismo che si protrae dalle elementari alle superiori, fino al momento in cui il ragazzo, ormai introverso e depresso, decide di cercare Nishimiya per scusarsi e provare a rimediare ai suoi errori passati.
Si tratta di una storia complessa, che affronta temi quali la disabilità, la discriminazione, il bullismo e la depressione: ho apprezzato molto che non vengano minimizzati gli effetti a lungo termine che anni di maltrattamenti e mobbing finiscono inevitabilmente per avere su chi li ha subiti, e la narrazione non si dimentica mai del fatto che il protagonista è sia una vittima che un carnefice.
La storia, infatti, vede il cammino di Shoya per riaprirsi al mondo e avere di nuovo degli amici, ma anche quello in cui cerca il perdono, di espiare il male che ha fatto a Shoko... che ha lasciato i segni: lei sembrerebbe aver superato meglio di lui l'intera faccenda, ma si capisce che è solo più brava a fingere che vada tutto bene, che le conseguenza sono state più subdole, e la sua famiglia non ha dimenticato - né perdonato - il periodo d'inferno che le ha fatto passare, come abbia contribuito ad alzare il muro che la separa non tanto da una vita normale, ma dall'idea di poterla avere.
Ho anche apprezzato che il messaggio non sia che si deve per forza perdonare i propri bulli pentiti: è vero che Shoko è contenta di poter finalmente fare amicizia con Shoya, ma allo stesso tempo lui non vuole avere niente a che fare con uno dei suoi vecchi persecutori che - invece - ha iniziato a girargli intorno con l'intento di rimettere a posto le cose (e che gli fa presente come stia facendo esattamente quello che sta facendo lui).
Un'altra cosa che ho trovato realistica è il coinvolgimento delle famiglie: spesso e volentieri in questo tipo di manga viene completamente a mancare la presenza degli adulti, con questi ragazzini che ne passano di ogni senza che i genitori se ne accorgano o facciano qualcosa, mentre qui... beh, siamo di fronte a degli adolescenti che iniziano ad avere la loro vita privata e a staccarsi dal controllo genitoriale, ma allo stesso tempo le famiglie - almeno quelle di Shoya e Shoko - sono ben presenti, ognuna coi suoi punti di forza e i suoi difetti. E ho trovato interessante che si tratti di due famiglie guidate da madri single (Shoya ha una famiglia molto poco convenzionale, mentre il padre di Shoko è pregiato esemplare di uomo di merda che se n'è andato appena scoperta la disabilità della figlia) con un approccio molto diverso alla maternità e che cercano di insegnare ai figli due tipi di resilienza differenti.
Il fatto che il manga sia corto (sette volumi)  gli permette di svilupparsi in modo molto naturale ed organico, senza punti morti: ogni evento, per quanto possa sembrare poco rilevante a breve termine, serve ad arrivare al climax, e il fatto che i personaggi siano costruiti in modo realistico aiuta ad affezionarsi a loro; non sono perfetti, hanno pregi ma anche difetti che ti fanno venir voglia di tirare testate contro il muro e allo stesso tempo di abbracciarli per dirgli che alla fine andrà tutto bene, che l'adolescenza poi passa.

Si tratta di un manga che consiglio; su netflix è possibile trovare anche l'adattamento cinematografico, ma se devo essere sincera non mi ha fatta impazzire: tecnicamente è bellissimo, ma dovendo strizzare sette volumi in due ore, per forza di cose va velocissimo.

6 commenti:

  1. Io ho visto solo il movie, e sì, carino ma niente di speciale. Anche se era tutto condensato l'ho trovato lento... sicuramente i manga rendono molto meglio il tutto compresi i silenzi.

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    1. Concordo, i silenzi nei manga hanno tutto un'altro significato.
      Diciamo che nel film manca il grosso del flusso di pensieri dei personaggi, quindi secondo me un sacco di cose si capiscono molto meno rispetto al manga (sono ancora dell'idea che una serie sarebbe stata meglio di un film, come adattamento).

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  2. Ho letto il manga qualche anno fa ma ne ero rimasta parecchio delusa, ammirevole la tematica trattata, ma non mi era piaciuto praticamente nient'altro. L'anime invece l'ho trovato molto più carino.

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  3. E questo si aggiunge alla lista infinita di manga che devo recuperare. Sembra davvero interessante, soprattutto per i temi trattati... vedrò di recuperarlo, prima o poi!!!!

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