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mercoledì 18 dicembre 2019

L'ibisco viola

L'ibisco viola, di Chimamanda Ngozi Adichie.

Dopo il bellissimo Americanah non potevo non leggere altro di questa autrice.
E non ho intenzione di fermarmi qui.

Kambili ha quindici anni. Vive a Enugu, in Nigeria, con i genitori e il fratello Jaja. Suo padre Eugene, proprietario dell'unico giornale indipendente in un Paese sull'orlo della guerra civile, è agli occhi della comunità un modello di generosità e coraggio politico: conduce una battaglia incessante per la legalità, i diritti civili, la democrazia. Ma nel chiuso delle mura domestiche, il suo fanatismo cattolico lo trasforma in un padre padrone che non disdegna la violenza. Così Kambili e Jaja crescono in un clima di dolorose contraddizioni fino a che, dopo un colpo di Stato, non vanno a vivere dalla zia Ifeoma. E nella nuova casa, tra musica e allegria, i due ragazzi scoprono una vita fatta di indipendenza, amore e libertà: una rivelazione che cambierà il loro futuro. L'ibisco viola, opera d'esordio di Chimamanda Ngozi Adichie, racconta le trasformazioni civili e politiche del postcolonialismo, ma è anche un romanzo sulla linea sottile che divide l'adolescenza dall'età adulta, l'amore dall'odio.

Ho appena realizzato che il 2019 è praticamente iniziato e finito con Chimamanda Ngozi Adichie, e non posso che esserne felice: si tratta di un'autrice straordinaria, al punto che anche L'ibisco viola, che è una delle sue prime opere, è davvero notevole.
Se in Americanah vedevamo la vita di una giovane donna nigeriana e cosa comportasse il trasferimento in America, qui abbiamo una storia di formazione completamente africana.
La struttura del libro non esattamente lineare: cominciamo vedendo il punto di rottura, quello che cambia tutto per la famiglia della giovane Kambili, e da lì facciamo un passo indietro per vedere come siamo arrivati a quel momento.
La famiglia di Kambili all'apparenza ha tutto: sono molto ricchi, il padre Eugene è un pilastro della comunità, irreprensibile nella condotta e nella morale. Un uomo coraggioso ed incorruttibile, che non si piega neanche dopo il colpo di stato e durante il regime, che protegge i suoi dipendenti e sinceramente soffre se non può farlo. Un uomo che non ha ripudiato la moglie anche se gli ha dato solo due figli, e una lunga sequenza di aborti.
Un uomo immenso, di cui Kambili cerca l'amore e l'approvazione con costanza. Ma Eugene è anche un fanatico religioso, che esige la perfezione dalla sua famiglia e punisce con violenza fisica ogni mancanza.
Nell'intimo delle mura domestiche si respira un'aria di terrore costante, l'attesa che qualcosa di assolutamente normale faccia esplodere il padre-padrone che regna indiscusso su moglie e figli.

Ho apprezzato molto come la Adichie abbia parlato di abuso senza mai usare la parola abuso: Kambili vive una schiacciante contraddizione quando si parla del padre, perché tanto le sue mancanze sono gravi nel privato, tanto sono positive le sue azioni nel pubblico... senza contare che Eugene non cerca di alleviare il senso di colpa: è davvero convinto di essere nel giusto.
Per cui noi vediamo questa ragazzina, e piano piano ci accorgiamo di quanto viva nella paura (mi ha colpita molto un piccolo episodio: il libro è in prima persona, per cui veniamo a sapere che Kambili parla sempre sottovoce solo quando le viene fatto notare da altri). Poi, però, se ne accorge anche lei: assieme al fratello viene ospitata dalla zia, una professoressa universitaria rimasta vedova; e vivere per la prima volta in un contesto familiare normale farà sì che niente possa essere come prima, né per lei né per il fratello maggiore Jaja.
Mi è piaciuto, L'ibisco viola, perché oltre a mostrare con precisione cosa comporta crescere in un clima familiare caratterizzato dalla violenza, va anche a minare alcuni pregiudizi che noi occidentali possiamo avere sulla cultura africana: no, non è normale che un padre eserciti un controllo simile sugli altri membri della famiglia. No, non è normale che le ragazze possano aspirare solo al matrimonio. No, non è normale la povertà. No, non è normale la censura.
O quantomeno tutti sono consapevoli che non dovrebbe esserlo, e chi non lo è... non si tratta di un ancestrale retaggio tribale, ma di una precisa dinamica psicologica che si viene a creare quando si vive una relazione abusiva.

E le conseguenze non ci sono solo per moglie e figlia, elementi percepiti dal pubblico come più fragili, ma anche per Jaja, il figlio maschio. Jaja, che eredita dal padre un atteggiamento di predominanza ma all'opposto, lui che come fratello maggiore e figlio si sente investito del dovere di proteggere Kambili e Beatrice, assumendosi la responsabilità di tutte le loro "colpe" in slanci sì eroici, ma che per certi versi vanno a negare loro ogni gesto di ribellione o di indipendenza.

E intanto, sullo sfondo, abbiamo la Nigeria. Un paese bellissimo e contraddittorio, le conseguenze di un colpo di stato che porta gli elementi più validi, quelli che potrebbero provare a costruire un mondo migliore, ad emigrare per avere la possibilità di percepire uno stipendio, di dare un futuro ai propri figli, di vedersi riconosciuti senza rischiare che ti arrivi un pacco bomba a casa nel caso peggiore, o la polizia a calpestarti davanti ai tuoi bambini nel migliore.

L'ibisco viola è una lettura consigliatissima, che coniuga una storia intima con quella più grande di un'intero paese.

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