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lunedì 16 novembre 2020

Exiled from Camelot

Exiled from Camelot, di Cherith Baldry.

Hurt/comfort: the book.

The court of Camelot is unsettled by the arrival of Loholt, King Arthur's illegitimate son. Driven by the need for an heir, the king embraces the stranger, though not everyone in Camelot so readily accepts the mysterious young man. Arthur's seneschal and foster brother, the redoubtable Sir Kay, is especially suspicious of Loholt's motives. And when Loholt is killed, Kay finds himself under suspicion of murder. 
Stripped of his knighthood, Kay forges an unwilling alliance with the renegade Briant and his lover, the enchantress Brisane, who seek to bring down the men closest to the king. If Sir Kay cannot redirect their plot or win back the court's trust, nothing will save Camelot from the twin threats of war and evil sorcery.

Questa recensione doveva uscire la settimana scorsa, ma nonostante la semi-quarantena e gli obblighi di uscita, mi sono ritrovata con un milione di cose da fare tra riunioni on-line, turni che non finiscono mai (massima solidarietà ai medici che sono messi molto peggio di noi, e non so come facciano a resistere), commissioni tipo andare in banca o ritirare il certificato del corso sulla sicurezza, che certe cose on-line è troppo banale.
E il tempo libero semplicemente non è contemplato.

Ma infine eccoci qua, con un'altra recensione di un retelling arturiano che non è il migliore del mondo, non è quello che consiglierei di più in assoluto, ma è stato esattamente quello che mi serviva, quando l'ho letto.
Exiled from Camelot non è uno di quei retelling che punta a raccontare ascesa e caduta di Camelot, bensì uno di quelli che prende un episodio specifico del ciclo arturiano e rielabora quello lì; per questo motivo non è proprio il libro che consiglierei a chi desidera approcciarsi a questo particolare filone di retelling (per iniziare buttatevi sulla Stewart): viene dato per scontato che il lettore sappia almeno a grandi linee di che cosa stiamo parlando. 
Artù è già re, Camelot è già al suo massimo splendore, i cavalieri sono già affermati se non leggende vere e proprie, tra Lancillotto e Ginevra c'è chiaramente già qualcosa, e soprattutto lo spettro della futura successione sta già iniziando a farsi pressante.
Mi è piaciuto molto che l'arrivo del giovane Loholt venisse quindi mostrato sia dal punto di vista umano (Artù si ritrova per le mani un figlio adolescente, e ne è molto felice) sia dal punto di vista politico (è un erede e soprattutto non è Mordred), così come mi è piaciuto che venisse detto ad alta voce perché Gawain non va bene come successore (semplicemente, essendo quasi coetaneo di Artù, è troppo vecchio).
Ad ogni modo questi sono degli elementi satellite, che vanno a comporre la cornice di questo libro: il protagonista indiscusso, infatti, è Kay. Il fratello adottivo di Artù, quello che combatte pochissimo ma ha il ruolo di maniscalco, quello descritto sempre come sarcastico, cinico, e a seconda del retelling degno di ammirazione o codardo ininfluente.

In questo volume abbiamo un Kay sì sarcastico, ma estremamente ben inserito a Camelot e con un affetto pressoché assoluto nei confronti del fratellastro (a una certa, se non l'avessi considerato incesto, li avrei quasi shippati). Si tratta di un uomo capace, apprezzato, ma è qui che arriva la prima goccia di realismo: Kay è praticamente l'unica persona in grado di mandare avanti un castello, di far funzionare una corte o di ricostruirla dal niente... ma combatte pochissimo e quindi si può parlare e sparlare di vigliaccheria, di incapacità, di mancanza di valore.
E Kay è orgoglioso, quindi il casino vero comincia quando, proprio per orgoglio, Kay riesce a farsi buttare in una campagna militare e da lì ci ritroviamo con hurt/comfort a quantità industriale, che è uno dei tropes che adoro ma nel caso specifico è quasi troppo. Il numero di volte che questo cavaliere si fa malissimo o viene torturato o si ammala... sembrava quasi che ci fossi andata io, in una campagna militare medioevale.
Comunque la dinamica mi piace, l'autrice ha tirato fuori angst, dinamiche familiari e di amicizia come se piovesse, non mi ha reso nessun cavaliere un mostro per fare emergere il protagonista, pure Lancillotto era interessante, quindi diciamo che l'estrema vulnerabilità di Kay è un difetto a cui posso sopravvivere.
E ci sono pure dei personaggi femminili interessanti, oltre che una Ginevra che mi sarebbe piaciuto vedere di più.

Circa l'ambientazione, è molto ambigua in senso buono: all'inizio sembrava prettamente storica, poi però è diventato chiaro che ci fosse anche un elemento magico molto importante.
Insomma, a me questo libro è piaciuto un sacco: è scritto bene, non è pesante, racconta un episodio particolare che viene ignorato dai più, e a volte fa piacere leggere un< retelling incasellato dentro il ciclo arturiano rispetto a tutto il ciclo arturiano in tre volumi (o trecento pagine).

2 commenti:

  1. Sai che ho letto pochissimi libri retelling del ciclo arturiano? Eppure andavo pazza di re Artù, Lancillotto e Ginevra. :(

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    1. Se vuoi entrare in questo tunnel, prova con il ciclo di Mary Stewart :)

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