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lunedì 12 aprile 2021

La morte dell'erba

La morte dell'erba, di John Christopher.

Volevo leggere questo libro da tanto tempo, ma non ricordo per quale motivo mi ero impuntata a volerlo prendere usato. E a quanto pare nessuno, tra chi ce l'aveva, era intenzionato a metterlo in vendita.
Dopo circa quattro anni, finalmente qualcuno ha mollato la sua copia.

Pubblicato per la prima volta nel 1956, La morte dell'erba è diventato da allora un classico della narrativa, superando di gran lunga i ristretti confini del genere e della fantascienza. Il libro muove dalla descrizione dell'agiata esistenza londinese di John Custance e famiglia. Ingegnere, John predilige i comfort della grande città, e tuttavia non disdegna di trascorrere lunghi soggiorni nella valle del Westmorland, dove suo fratello David sovrintende con cura alla sua fattoria. La campagna è, del resto, il luogo d'origine dei Custance, oltre che il mondo per eccellenza della "Englishness": un universo flemmatico, rispettabile, idilliaco, fatto di "campi fertili, cittadine tranquille e borghesi pasciuti, di cassette delle lettere, birre, partite di cricket, tè del pomeriggio e correttezza". Un mondo che non batte ciglio dinanzi alle prime allarmanti notizie che giungono dall'Estremo Oriente. Un virus del riso altamente contagioso - chiamato Chung-Li - si sta diffondendo a macchia d'olio nella Cina comunista, distruggendo coltivazioni, causando carestia e tumulti e mettendo a repentaglio la vita di milioni di persone. La flemma e la correttezza inglesi si sciolgono, tuttavia, come neve al sole quando, alla quinta mutazione, il Chung-Li si mostra in grado di danneggiare ogni tipo di pianta appartenente alla famiglia delle graminacee, compresi grano, orzo, avena e segale, e dilaga ovunque in Europa, fino ad attraversare l'Atlantico e giungere in America...

Leggere La morte dell'erba in questo particolare periodo storico è stata un'esperienza quasi surreale e il motivo si capisce leggendo la quarta di copertina: si parla di una pandemia, di un virus che ha la sua origine in Cina, dove viene inizialmente tenuto nascosto e la sua portata negata, minimizzata.
Abbiamo un Occidente che guarda quasi con condiscendenza ad un mondo ritenuto così lontano da essere quasi un altro pianeta, e poi abbiamo il momento in cui il virus, in barba a tutto e tutti, si propaga per tutto il globo. Ci sono anche le varianti più aggressive.
Decisamente surreale, anche se lo scenario dipinto da Christopher è ben più tragico rispetto a quello che tutti noi stiamo vivendo: il suo virus, infatti, non attacca l'uomo ma le graminacee, quindi ciò a cui assistiamo è una terrificante carestia in divenire.
La morte dell'erba è un libro corto, ma è la prova che la grandezza delle storie non si conta nel numero di pagine: qui, in appena 207, impariamo a conoscere i nostri personaggi. John, che ha scelto la vita in città, emblema dell'uomo civilizzato, cosi tiepidamente progressista da essere un conservatore, con la famiglia più classica di sempre, una moglie e due bambini - rigorosamente maschio e femmina.
A lui si accompagna, all'inizio, il fratello David, che invece ha scelto di occuparsi della tenuta di famiglia: più rude, più spigoloso, con quella conoscenza intima della propria terra che lo porta a prendere determinate decisioni prima che il disastro si riversi sul mondo come lo conoscono.

Il libro si divide nettamente in due parti: nella prima abbiamo la quiete prima della tempesta: vediamo il disastro che ha colpito l'Oriente attraverso gli occhi dei nostri protagonisti, sentiamo la sottile tensione che sale, via via che diventa sempre più chiaro che si sta solo rimandando l'inevitabile. 
Personalmente questa è la parte che ho preferito, ma credo sia una questione di gusti personali: di base, quando si parla di film o libri o telefilm con epidemie/pandemie mi piace di più il momento in cui la situazione sta degenerando, rispetto a quanto esplode il caos.
Comunque, tornando al libro in questione, nella seconda parte Christopher ci mostra il crollo della civiltà: un mondo senza cibo, che porta alla nascita di un mondo crudele, senza regole, dove vige la legge del più forte e dove un alleato prezioso è una persona che tre giorni prima ti avrebbe fatto ribrezzo perché... perché tre giorni prima sarebbe stata una persona orrenda, mentre ora ciò che l'avrebbe reso orrendo è ciò che lo rende indispensabile. 
Il viaggio di John e della sua famiglia verso la tenuta di David, una meta idealizzata dove tutto andrà per il meglio, è un viaggio dove vediamo queste persone venire spogliate - o abbandonare deliberatamente - ogni morale, ogni limite, finché l'unica cosa che li separa dai predoni o dai gruppi armati avversari, è il fatto che noi lettori stiamo seguendo le loro vicende da pagina uno.

Se gli devo trovare un difetto, direi che si tratta dei personaggi femminili: da quel punto di vista La morte dell'erba è decisamente figlio del suo tempo, mostrandoci delle donne che provano a parlare e mostrarsi emancipate, ma che all'atto pratico sono estremamente nelle retrovie se non trattate come mera proprietà dell'uomo, da punire se non mostrano il dovuto rispetto.
Personalmente non lo ritengo un grande problema: sono dell'idea che le opere vadano contestualizzate al loro periodo.

Insomma, La morte dell'erba è un libro magnetico, crudele, per certi versi destabilizzante. Però ve lo consiglio.

2 commenti:

  1. Molto interessante, ma mai e poi mai lo leggerei in questo periodo! Io già mi sono impressionata guardando "Shaun of the Dead"!XD

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    1. Non pensavo che ci fossero così tanti parallelismi con la realtà quando l'ho iniziato 😅

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