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mercoledì 3 aprile 2019

Il battello del delirio

Il battello del delirio, di George R.R. Martin.

Questo libro non sapevo se inserirlo o meno sotto l'etichetta "vecchi libri nuovi": è vero che è del 1982 e da noi si è visto molto più tardi... però è anche vero che la mia edizione è del 2010 e che c'è stata una ristampa per la Mondadori nel 2017.
Ma siccome mi rifiuto di accettare che un libro del 2010 sia di quasi dieci anni fa e abbia fatto in tempo a vedere il fallimento della casa editrice e ad essere pubblicato da un'altra, ho deciso di considerarlo un "vecchio libro nuovo" lo stesso.
Perché la negazione è la via.

Fiume Mississippi, 1857. Il ghiaccio di un gelido inverno ha appena distrutto la flotta commerciale del Capitano Abner Marsh. Privo di assicurazione, il vecchio armatore si ritrova solo, in bancarotta, disperato. Ma ecco che, inaspettatamente, un bizzarro straniero di nome Joshua York si offre di rilevare la metà della sua compagnia di navigazione in rovina, mettendo sul piatto una cifra spropositata. Ma non è tutto. York intende investire il proprio denaro nella costruzione del battello più lussuoso, più bello e soprattutto più veloce che abbia mai solcato le torbide acque del Mississippi, e per di più ne offre il comando al Capitano Marsh. L'unica condizione posta da York è semplice: gli ordini da lui impartiti saranno pochi, ma per quanto strani o assurdi possano sembrare, ogni qual volta verranno emanati, Marsh dovrà assicurarsi che essi vengano eseguiti alla lettera, senza fare domande. E così il nuovo gioiello del fiume, battezzato Fevre Dream, inizia il suo viaggio. Tuttavia, man mano che il battello discende il tortuoso corso del Mississippi, Marsh prende a insospettirsi sempre più. Perché il misterioso York si fa vedere soltanto di notte? Come mai lui e i suoi amici si dissetano ogni sera col disgustoso vino nerastro della sua riserva privata? Quando la verità sarà finalmente rivelata, il Capitano dovrà scegliere da che parte stare...

Le cronache del ghiaccio e del fuoco sono un mostro immenso: hanno finito per inglobare la carriera del loro autore, al punto che è difficile ricordarsi che Martin ne ha una, e pure parecchio prolifera (vedi il ben più ambizioso progetto legato a Wild Cards), o che ha messo le mani su un'altra meraviglia televisiva (la vecchia serie de La Bella e la Bestia).
Ma non è solo questo: mi sono resa conto che anche per me, lettrice, è ormai quasi impossibile leggere il resto della sua produzione senza paragonarla alla sua creatura più ingombrante, e se Armageddon Rag era una roba fuori dal mondo simile solo a sé stesso, già in In fondo il buio/La luce morente avevo trovato una cultura che mi ricordava i Dothraki e un personaggio che sembrava lo zio acculturato di Drogo.
La verità è che - per quanto possa essere ingiusto cercarli sempre - dei punti in comune nei lavori di Martin ci sono e, a mio avviso, la propensione a giocare con le regole di generi e stereotipi che tanto si ammira in ASoIaF quest'uomo ce l'ha sempre avuta: i vampiri che ci propone riprendono i tratti classici ma - allo stesso tempo - rielaborano moltissimo, arrivando ad essere un qualcosa di nuovo. In più Il battello del delirio non è un libro horror in senso stretto (così come A game of Thrones non è un fantasy in senso stretto): è un libro dove si lavora sull'atmosfera, forse più vicino al gotico che all'orrore.
E nessuno può venirmi a dire che Joshua York non è un proto-Rhaegar Targaryen.
Ma andiamo con ordine: siccome quando questo libro è uscito la prima volta non ero ancora nata non ho idea di come si incastrasse nel panorama editoriale dell'epoca: ci sono volumi che, ai tempi della prima pubblicazione, erano innovativi per temi e trama, ma conosco pochino la letteratura horror anni '80 (l'unico che ho letto è Stephen King, i cui libri non sono invecchiati per niente) perciò non so se la storia de Il battello del delirio nel 1982 era una cosa super-misteriosa e terrificante, ma posso dire con certezza che - al giorno d'oggi - non lo è: il dubbio sulla natura di York non esiste nel momento in cui si legge la quarta di copertina e il conflitto morale di Marsh viene di conseguenza. Ne segue che il dubbio del lettore sia se vale la pena leggere un libro il cui fulcro sembra essere la natura di Joshua e l'anima di Abner.
La parola chiave è "sembra".
Vedete, a Martin costruire le ambientazioni riesce benissimo e il risultato è che a risultare affascinante in modo incredibile non è solo il "oddio, ci sono i vampiri, ammazzeranno gente", ma il contesto: il Mississippi, il mondo del battelli a vapore... sembra di vederli davvero correre l'uno accanto all'altro. L'amore di Marsh per le sue imbarcazioni, la sua profonda conoscenza e rispetto per il fiume, un mondo che è un microcosmo costruito attorno ad un'unico tratto d'acqua, i cui moli portano a luoghi profondamente diversi anche se apparentemente così vicini.
Questo è, secondo me, il vero punto di forza di questo libro: la rappresentazione di un periodo storico, di un luogo geografico, che raramente ho visto, ma che non si presenta da solo.
Oltre alla luogo in cui ambientare la storia, Martin ha svolto un buon lavoro anche coi suoi protagonisti: Abner Marsh è un uomo onesto, burbero, bruttissimo, perseguitato dalla sfortuna.
Capace nonostante tutte le avversità, concreto e per certi versi rozzo: non si può non amarlo perché è, semplicemente, una brava persona finita in un conflitto più grande di lui che neanche riguarda la sua razza.
Joshua York è da una parte adorabile, dall'altra spesso a volte ti fa venire voglia di prenderlo a schiaffi finché non si da una svegliata: a parte che è il vampiro con la tragica backstory che in genere dai al personaggio umano, lo ritengo un proto-Rhaegar non solo per l'aspetto fisico, ma perché è il malinconico aristocratico che segue una profezia senza sapere esattamente cos'è, se si applichi a lui, se è solo una leggenda.
E come Rhaegar finisce per dare il via a una catena di eventi non proprio gestibile e che rovina la vita a un sacco di gente che non c'entrava nulla.
Sul cattivo non dico nulla: è terrificante, e se ne porta dietro un'altro che è probabilmente la figura più patetica e affascinante dell'intero libro (per quanto mi faccia venire i brividi), e ci porta in dono il conflitto morale e la tematica tanto cara a Martin del bene e del male. Esistono di default? Sono frutto di un contesto e del punto di vista? Li creiamo noi? Ci sono persone che nascono buone e altre cattive, oppure essere malvagi è una scelta deliberata? Ha senso parlare di bene e male visto che sarai sempre il cattivo, per qualcuno? Ma soprattutto di cosa stiamo parlando, visto che da un lato ci sono omicidi e schiavitù?

Insomma, è un libro che a me è piaciuto molto, ma ovviamente presenta dei difetti: tanto per cominciare i personaggi femminili sono prossimi allo zero, che va bene, può essere una conseguenza dell'ambientazione, però i pochi che ci sono vengono trattati veramente male. Il finale, inoltre, l'ho trovato un po' affrettato (e con un salto temporale molto wtf), con buttate lì delle notizie che magari avrebbero meritato un minimo di approfondimento.
Ma il voto rimane positivo.

4 commenti:

  1. Ma sai che nonostante io ami la serie tv di GOT non riesco a leggere i libri? Sono troppo pesanti (il primo l'ho letto eh) e di conseguenza non mi sono mai spinta oltre sugli altri lavori di Martin, difatti non sapevo di questo libro XD

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    1. Beh, considera che agli esordi aveva uno stile più sbrigativo (anche se si è sempre preso il suo tempo per costruire tutto in modo che i colpi di scena rendessero di più, col risultato che a una prima lettura i suoi libri possono sembrare lenti), e che questo è un libro corto e autoconclusivo XD

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