lunedì 8 febbraio 2021

L'ultimo giorno di un condannato

L'ultimo giorno di un condannato, di Victor Hugo.

Diverso tempo fa ho notato un piccolo paradosso nella mia vita da lettrice: ho letto pochissimo della produzione di Victor Hugo. Lo ritengo un paradosso perché il mio libro preferito in assoluto è I Miserabili, e così ho iniziato a recuperare con molta calma un po' della sua produzione: mi è piaciuto tanto Notre-Dame de Paris, ho trovato bello ma troppo dispersivo L'uomo che ride, sono perdutamente innamorata di Discorsi Contro. E ora è arrivato il turno di L'ultimo giorno di un condannato.

È anonimo l'autore che, nel 1829, dà alle stampe questo piccolo, gigantesco libro. Ma è inconfondibilmente Victor Hugo. Sono anni in cui il progresso sembra trasportare l'umanità intera, sul suo dorso poderoso, verso un futuro di pace, prosperità, ricchezza e fratellanza. Ma negli stessi anni si tagliano ancora teste davanti a un pubblico pagante, si marcisce in carcere, ci si lascia morire per una colpa non sempre dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio. Hugo parla a nome dell'umanità, come sempre, e lo fa attraverso la voce di un uomo qualunque, di un condannato qualunque, di un miserabile che rappresenta tutti i miserabili di tutte le nazioni e tutte le epoche. Un crimine di cui non conosciamo i dettagli lo ha fatto gettare in una cella. Persone di cui non conosciamo il nome dispongono della sua vita, come divinità autoproclamate. Un'angoscia di cui conosciamo fin troppo bene la lama lo tortura, giorno dopo giorno, e gli fa desiderare che il tempo corra sempre più veloce. Verso la fine dell'attesa, venga essa con la liberazione o con l'oblio.

Questo è un libro particolare, soprattutto se preso - come ho fatto io - a scatola chiusa con esperienze pregresse con Victor Hugo sulle 600 pagine minimo: mi aspettavo, come sempre, un mattone con un numero terrificante di pagine e le classiche descrizione a cui quest'uomo mi ha abituata... ma sto realizzando che, come autore, Hugo era pure poliedrico. 
Una caratteristica che non sono abituata ad associare ad autori "classici".
Insomma, questo preambolo per dire che in L'ultimo giorno di un condannato non c'è una vera e propria trama quanto un flusso di coscienza, con un protagonista che viene spogliato di ogni caratteristica identitaria in un modo tale che, invece di risultare deumanizzato, sembra diventare un rappresentante di un'intera categoria: in pratica togliendogli quasi tutto ciò che lo renderebbe un individuo, Hugo gli ha lasciato "solo" la sua natura umana. 
Il nostro protagonista non ha nome e di lui non conosciamo la storia, solo qualche dettaglio: è giovane, ha un'anziana madre e una moglie malata, una figlia di tre anni. 
Sappiamo che è colpevole, che ha commesso un crimine, che è stato condannato a morte, ma non sappiamo cosa abbia fatto.
Noi ci troviamo quindi a leggere il flusso di pensieri di quest'uomo, dal momento in cui viene emessa la sentenza fino a qualche minuto prima che salga sul patibolo, che non è neanche esattamente un vero flusso di coscienza perché la cornice è proprio che lui sceglie di lasciare la testimonianza scritta dei suoi ultimi momenti per mostrare la crudeltà dell'attesa: sapere che morirai, sapere che quelli che stai vivendo sono gli ultimi momenti, che li stai passando in prigione, che la tua fine è stata decisa da altri, che in molti avrebbero il potere di salvarti ma non lo usano pur non odiandoti, le speranze irrealizzabili, la disperazione, il terrore totale dato dall'ansia costante di sapere cosa sta per succedere ma non sapere esattamente quando. 
Si tratta di uno scritto politico, una presa di posizione contro la condanna a morte: non ci viene detto cosa quest'uomo abbia commesso, pertanto a noi lettori risulta impossibile prendere posizione tenendo in considerazione il reato, ma solo basandoci sulla condizione umana, se causare una tale sofferenza ad un essere umano possa essere considerato giustizia, se dentro di noi siamo d'accordo o meno.
Non si tratta, ovviamente, di un libro allegro, ma come tutta la produzione di Hugo che conosco è un libro profondo, che si spinge dentro la natura umana, dentro la bruttura, senza mai giudicare o condannare.
È una lettura che riesce ad essere statica ed ansiolitica contemporaneamente: manca una qualsivoglia azione, non vi sono personaggi se non figure di passaggio con cui ogni tanto il condannato interagisce, eppure più si va avanti più questo conto alla rovescia mai esplicito ma sempre presente non può non causare panico ed ansia crescente, e tu, lettore, sei bloccato lì, con i pensieri di quest'uomo che rasentano sempre di più la lucida follia, nati dalla mente di qualcuno che sta per essere ucciso ma non vuole morire, in cui tutto si ribella a ciò che lo attende ma senza poter fare materialmente nulla per cambiare il proprio destino.

E sempre per tornare al fatto che secondo me Hugo è un regista mancato, lui questo libro non l'ha firmato ma l'ha spacciato per fogli originali di un condannato a morte. In pratica l'equivalente letterario del found-footage (sì, so che non è un vero paragone e che di certo non è stato il primo, però mi faceva ridere).

Insomma, consigliato ma tenete conto che anche se è corto, non è una lettura leggera.

2 commenti:

  1. Proprio oggi ho parlato di tematiche simili, nella mia supplenza, con Beccaria.
    Lo segno. E' un Hugo che non conosco.

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