Chiamate la levatrice, di Jennifer Worth.
Ho deciso di sfoltire la TBR durante l'estate, ed uno dei primi prescelti è stato Chiamate la levatrice, libro acquistato dopo un episodio di telefilm (che finalmente è in onda anche da noi, ma devo capire come Call the midwife sia diventato L’amore e la vita che fa tanto soap opera brasiliana).
La cronaca, quasi un diario, delle giornate di una levatrice nell'East
Side di Londra inizi anni Cinquanta. Con lei si entra nella realtà delle
Docklands, vite proletarie che sembrano immagini della plebe
ottocentesca più che cittadini lavoratori del democratico Novecento. Si
entra in questa desolazione impensabile con una voglia di verità
quotidiana raramente riscontrabile in un libro, ma anche con una
rispettosa allegria, con la sicura fiducia che quel mondo stia per
finire, senza rimpianti, grazie ai radicali cambiamenti apportati dal
Sistema sanitario nazionale appena nato. Come poi fu, almeno fino ad
oggi. La fresca verve di Jennifer Worth, nel trattare una materia così
cruda, crea una formula ingegnosa (e di grande successo sia letterario
che come fiction televisiva). L'eroismo quotidiano di interventi clinici
spesso drammatici, si mescola alla denuncia sociale, alla fiamma
inestinguibile dei sentimenti umani, e alla ricchissima quantità di
storie e ritratti. Accanto a questi, la galleria, tenera, nobile e a
tratti comica, delle giovani levatrici e delle suore del convento di
Nonnatus House, da cui le ragazze dipendevano professionalmente e dove
abitavano. Su questa testimonianza aleggia un lieve "effetto Dickens"
con un tocco di innocente gaiezza, che però non nasconde un monito
evidente a favore delle politiche sociali solidaristiche, a non
smantellare, per la scarsa memoria del passato, gli strumenti che hanno
permesso di diffondere dignità umana.
Parte da una premessa semplice: perché nessuno parla mai
delle levatrici? Personalmente ho sempre pensato che la levatrice fosse una figura
più folcloristica che professionale, una figura destinata a sparire nel momento
in cui prende piede un servizio sanitario nazionale. Beh, direi che ero una
piccola ignorante piena di pregiudizi: in Inghilterra a quanto pare le levatrici sono state il momento in cui prende
piede un servizio sanitario nazionale, permettendo agli strati più bassi della
popolazione, agli ultimi tra gli ultimi, di avere un minimo di assistenza. Un
diritto per cui hanno lottato le levatrici stesse – o le donne
destinate a diventarlo – chiedendo una formazione medica e affermando il
diritto di ogni donna a mettere al mondo un figlio assistita da qualcuno che sa
quello che fa. E che non chiede una cifra impossibile da pagare.
Jennifer Worth racconta la sua esperienza di infermiera
negli anni ’50. Ragazza borghese, laica, uscita dalla scuola e
dall’ambiente protetto dell’ospedale, che si ritrova a Nonnatus House, un
convento, insieme alle suore. Sconcerto e vago senso di condiscendenza per poi
rendersi conto di avere di fronte donne estremamente competenti che stanno
seguendo una doppia vocazione, una vita di servizio due volte. E il crescente
rispetto per le pazienti: donne perennemente con un bimbo in pancia, uno nella culla e uno attaccato alle sottane. Donne sporche, case sporche,
bambini sporchi. Il comprensibile disgusto di fare una visita ginecologica a
chi non ha l’acqua corrente in casa.
E rendersi conto, con vergogna, della forza che serve per occuparsi dei figli, per tenere la casa, semplicemente per fare la spesa quando hai cinque bambini appresso – di cui uno in carrozzina – e salire le scale, e vivere in dieci in due stanze.
Vedere la miseria vera, capire di essere privilegiati, e mettersi a lavorare per loro, lottando con i pregiudizi e le paure che chi, cresciuto con qualcosa, non può capire... come la diffidenza verso l'ospedale, soprattutto nelle persone che ancora ricordano i terribili ospizi per i poveri. L’autrice, comunque, non scrive il libro Cuore: sta ben lontana da facili patetismi, dipingendo con uno stile fluido e vivace il mondo delle levatrici, quello delle pazienti e il momento in cui si incontrano (gravidanza e parto), usando la caratterizzazione della sé stessa di allora come avatar del lettore: con lei siamo scioccati dalle condizioni delle Docklands, con lei arriviamo poco a poco a capire.
Usa tutto ciò per mostrare un mondo che ormai non esiste più, per mostrare qual è la strada che si è percorsa… e per fare luce su un’aspetto della storia passato in sordina. È un libro che riesce ad essere divertente, commuovente ed agghiacciante.
È, soprattutto, un libro di donne.
E rendersi conto, con vergogna, della forza che serve per occuparsi dei figli, per tenere la casa, semplicemente per fare la spesa quando hai cinque bambini appresso – di cui uno in carrozzina – e salire le scale, e vivere in dieci in due stanze.
Vedere la miseria vera, capire di essere privilegiati, e mettersi a lavorare per loro, lottando con i pregiudizi e le paure che chi, cresciuto con qualcosa, non può capire... come la diffidenza verso l'ospedale, soprattutto nelle persone che ancora ricordano i terribili ospizi per i poveri. L’autrice, comunque, non scrive il libro Cuore: sta ben lontana da facili patetismi, dipingendo con uno stile fluido e vivace il mondo delle levatrici, quello delle pazienti e il momento in cui si incontrano (gravidanza e parto), usando la caratterizzazione della sé stessa di allora come avatar del lettore: con lei siamo scioccati dalle condizioni delle Docklands, con lei arriviamo poco a poco a capire.
Usa tutto ciò per mostrare un mondo che ormai non esiste più, per mostrare qual è la strada che si è percorsa… e per fare luce su un’aspetto della storia passato in sordina. È un libro che riesce ad essere divertente, commuovente ed agghiacciante.
È, soprattutto, un libro di donne.
Effettivamente, il titolo italiano del telefilm forse poteva essere pensato con un pò più di giudizio! :p anyway, la storia sembra molto intensa e il tema decisamente interessante: penso di non essermi mai soffermata particolarmente neppure io a pensare alla levatrice come "vera" figura professionale, ma forse è solo perchè si tratta di un mestiere che sentiamo legato al passato, qualcosa di vago e un poco misterioso, un pò come le vite dei nostri nonni prima della famiglia! ^___^
RispondiEliminaInfatti, per me è proprio quello il fascino e il modo in cui l'autrice ha deciso di impostare la narrazione *-*
EliminaMi ispira molto, anche se i libri della Sellerio - bho - non li compro mai. Troppo cari!
RispondiEliminaIn genere evito i libri troppo cari ma questa volta... è stato amore.
EliminaHo visto la pubblicità della serie tv, ma sinceramente non la seguirò u.u il romanzo invece se me lo trovo tra le mani gli darò una occhiata...
RispondiEliminaPer me meritano tutti e due, anche se sulla serie televisiva non potrei dire nulla perchè ho visto solo due episodi :P
EliminaCiao Katerina, ho letto alcuni tuoi articoli e mi sono piaciuti così mi sono unita ai tuoi lettori fissi, se ti va di passare da me e di unirti al mio blog, mi farebbe molto piacere! Mi trovi qui: amicadeilibri.blogspot.it ^__^
RispondiEliminaBenvenuta :D ricambio volentieri :)
Elimina"L'amore e la vita" fa tanto fiction con Gabriel Garko :-/
RispondiEliminaComunque non conoscevo né il libro né la serie, mi toccherà rimediare!
I titoli italiani colpiscono ancora. E sì, ti tocca rimediare u_u
EliminaNon lo conoscevo, ma ora ho tutte le intenzioni di rimediare! :)
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