lunedì 30 novembre 2020

Una stanza tutta per sé

Una stanza tutta per sé, di Virginia Woolf.

Devo ringrazia la pagina facebook di L'ha scritto una femmina se ho deciso di leggere questo libro: ho sempre guardato con sospetto a Virginia Woolf, complici alcune pagine nei libri di antologia al liceo che mi avevano fatta addormentare, e col tempo ho sviluppato l'idea che - anche se l'avessi letta - non l'avrei capita.
Poi ho letto una citazione presa di questo libro, postata appunto da L'ha scritto una femmina, e non dico che mi sono innamorata ma ho voluto assolutamente leggere il libro completo.

Nell’ottobre del 1928 Virginia Woolf viene invitata a tenere due conferenze sul tema Le donne e il romanzo. È l’occasione per elaborare in maniera sistematica le sue molte riflessioni su universo femminile e creatività letteraria. Risultato è questo straordinario saggio, vero e proprio manifesto sulla condizione femminile dalle origini ai nostri giorni, che ripercorre il rapporto donna-scrittura dal punto di vista di una secolare esclusione attraverso la doppia lente del rigore storico e della passione per la letteratura. Come poteva una donna, si chiede la scrittrice inglese, dedicarsi alla letteratura se non possedeva “denaro e una stanza tutta per sé”? Si snoda così un percorso attraverso la letteratura degli ultimi secoli che, seguendo la simbolica giornata di una scrittrice del nostro tempo, si fa lucida e asciutta riflessione sulla femminilità. Un classico della scrittura e del pensiero.

Una stanza tutta per sé è uno di quei libri sottili sottili, che poi all'interno sono molto più grandi: come spiega la quarta di copertina non siamo di fronte ad un romanzo, ma nemmeno propriamente ad un saggio dato che si tratta di un intervento che Virginia Woof ha portato a delle conferenze.
E come spiega l'introduzione, non siamo neanche di fronte ad una trasposizione del discorso dell'autrice, poiché nel corso del tempo rielaborò il proprio intervento per rendere più adatto alla forma scritta: in pratica è un ibrido tra il copione di un intervento parlato, e un saggio.

Virginia Woolf, dovendo parlare sul rapporto tra le donne e i romanzi, decide di non scegliere la via facile, di discorrere di Jane Austen, delle sorelle Bronte, di Mary Shelley, della narrativa concepita dal e al femminile: sarebbe stato troppo ovvio, troppo sicuro, troppo sui binari stabiliti, quello che chiunque si sarebbe aspettato.
L'impostazione del discorso parte proprio da lì, da quanto la Woolf si sia sentita impreparata a discutere di un argomento simile, come una traccia all'apparenza così chiusa ma in realtà così vaga l'abbia fatta sentire piccina. Seguiamo Virginia mentre cerca di capire come impostare il proprio intervento, ed è lì, nascosta tra le parole, che per un neofita sulla vita e le produzioni di questa donna, troviamo la verve. 
Sarò sincera, le prime pagine le ho trovate di una lentezza e di una pesantezza tali da farmi temere che tutti i miei preconcetti fossero corretti, ma poi... poi mi sono resa conto che questa donna stava sottilmente prendendo in giro la figura del professore. Si presenta come una povera donna che non sa di che parlare, e poi procede raccontando la storia della donna dal punto di vista della scrittura, una condizione che non metteva il genere femminile in una posizione tale da poter scrivere, a prescindere dal talento.
Quindi non ci parla di Jane Austen, delle sorelle Bronte, ma di quelle donne dimenticate o anonime, o quelle talmente ricche da potersi permettere di fare le poetesse per passatempo, che non avevano la scintilla del genio - oppure l'avevano ma non hanno potuto farla ardere - che sono di fatto state la strada per tutte coloro - talentuose o meno - che si sono impuntate per scrivere.
La prima donna che ha scritto, la prima donna che si è mantenuta scrivendo, nomi spesso messi da parte ma che sono stati il punto di inizio.
Ma si parla anche delle esperienze femminili, di come le grandi autrici del passato scrivessero con l'esperienza di vita che può entrare in un giardino perché non erano libere di fare niente. Di come nelle Bronte si senta la rabbia, di come Jane Austen si vergognasse di essere vista mentre scriveva Orgoglio e Pregiudizio, e il dubbio: cosa avrebbero potuto scrivere, se avessero potuto conoscere il mondo e non solo la propria condizione?
Insomma, per me è stata una lettura illuminante: ora ho la certezza che posso amare Virginia Woolf, se anche i suoi romanzi non dovessero fare per me, posso amare i suoi saggi.
E ho scoperto che tre pagine che sembrano cento può essere la cosa più bella del mondo.

6 commenti:

  1. È una autrice che mi ispira ma che mi fa paura, non so perché.
    Potrebbe essere un ottimo punto di partenza questo saggio, sì. L'anno nuovo mi devo decidere.

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    1. Sono di parte, ma per me è un punteggio di partenza perfetto 😊

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  2. Mi trovi concorde: non sono riuscita a entrare in sintonia con la Woolf in versione autrice, ma come scrittrice di saggi l'ho adorata in "Riflessioni sulla scrittura". Te lo consiglio, e io cercherò di recuperare "Una stanza tutta per sé".

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    1. Lo metto subito in lista :D spero di riuscire ad apprezzare anche la Woolf versione romanziera, ma in ogni caso mi rimarrà la sua versione di saggista da amare 💪🏻

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  3. Sono davvero molto contenta che tu l'abbia letto e che ti sia piaciuto! Come autrice di fiction ho sentimenti ambivalenti su Virginia Woolf (i suoi romanzi che ho letto mi sono piaciuti ma li ho trovati estremamente faticosi da leggere) ma questo libro è un piccolo capolavoro!

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    1. Se non riuscirò ad amare la Woolf come scrittrice, spero di riuscire ad amarla come saggista :D

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