Moby Dick, di Herman Melville.
Guardando in retrospettiva a Moby Dick devo molto: è il libro che ha fatto scattare in mia madre l’amore per la lettrura. Il motivo per cui sono figlia di due lettori, perché mia madre ha fatto scoprire i libri anche a mio padre.
Magari ce l’avrei avuto nei geni, magari avrei scoperto la
passione da sola… ma non mi sarebbe stata insegnata, non sarei stata così
assecondata, se mia madre a tredici anni non avesse trovato Moby Dick nella biblioteca della scuola,
scoprendo che i libri non sono solo orfane perseguitate dalla sfortuna nera.
Ismaele ama il mare, al punto che ogni volta che sente di
aver perso la direzione nella vita si imbarca come marinaio per ritrovare sé
stesso. Tuttavia, quando si imbarca nella baleniera Pequod non sa di essere finito in una storia fuori dall’ordinario: il
capitano Ahab ha infatti deciso che il viaggio sarà dedicato alla caccia alle
balene solo secondariamente. Il suo obbiettivo principale è trovare e
sconfiggere Moby Dick, la leggendaria balena bianca che ha fatto di lui uno storpio.
Il mio più grande
dubbio, quando mi sono avvicinata a questo libro si può riassumere in: a me
piacciono le balene. Riuscirò a reggere un libro dove i protagonisti le
ammazzano e le macellano, esaltando il tutto come una vittoria?
Risposta: sì.
Quello che Melville offre è un quadro, una finestra su un mondo che pochi
conoscono e molti disprezzano. E’ chiaro che gli piace, ma è anche chiaro che i
balenieri conoscono e per certi versi rispettano le balene (paradossalmente,
visto che le hanno quasi portate all’estinzione), e c’è
qualcosa di potente nel vedere la lotta tra questi animali immensi e gli
uomini, entrambi consapevoli della possibilità di morire. Anche se,
almeno io, ho avvertito anche la crescente crudeltà e il diminuire della
dignità: non è come la caccia al bisonte degli indiani, l’animale non è una
sfida o un degno avversario ma semplicemente una fonte di profitto.
Molto spesso,
quando ho sentito parlare di Moby Dick, ho sentito parlare della lotta tra la
natura e l’uomo, della guerra tra il capitano e la balena, entrambi campioni
del loro elemento.
Non sono d’accordo.
Moby Dick mi è
sembrato soprattutto (ma non solo) una lunga lettera d’amore al mare, alla vita
del marinaio, a un mondo che, col senno di poi, sarebbe scomparso.
A Melville, più che inventarsi incidenti e roba varia per rendere più interessante il viaggio,
importa spiegare perché e per come una baleniera funziona come
funziona. La sotto-cultura dietro ai piccoli gesti. Cosa si conosce delle
balene, come vengono percepite nel corso del tempo e sì, anche come si
macellano.
I capitoli sono
come link di approfondimento secoli prima l’arrivo di internet.
E poi c’è la Balena Bianca. Moby Dick.
Quando arriva è
terribile: non è una balena stranamente grande, o di un colore particolare.
Moby Dick è la creatura di una leggenda, la forza totale della natura, la voce
vendicatrice delle balene.
Quella con Moby
Dick non è una lotta alla pari nata dall’intrinseco rispetto come
può essere quella tra il vecchio e il marlin. Non è una lotta alla pari perché la
Balena Bianca è furba, perché non si limita a scappare ma attacca e attacca per
prima. Non è alla pari perché è la natura che si pone sullo stesso piano dell’uomo, non viceversa.
E cosa può l’uomo, di fronte alla natura unita all’astuzia?
E Ahab è un
campione degli umani, ma non positivo: Ahab non rispetta la balena. La odia.
Ahab è l’inseguimento folle di un sogno, senza curarsi di perdere tutto. E’ l’essere
disposto a sacrificare non solo sé stesso, ma anche gli altri senza chiederlo perché
non gli importa.
Non posso non fare un plauso al modo in cui Melville scrive:
il suo stile sembra il punto di congiunzione tra la poesia e la prosa. Molti
paragrafi sono una gioia da leggere.
In definitiva: se non vi piacesse, se vi annoiasse, se al
decimo capitolo di fila di come si arpiona una balena o si fa un nodo volete
buttare giù il libro e lasciarlo perdere… fatelo pure. E’ comprensibile.
Ma fatevi un favore: prima di abbandonarlo leggete gli ultimi capitoli.
Leggete la battaglia finale tra il capitano Ahab e Moby Dick.
Nota: il nome del capitano può essere sia Achab che Ahab. Nella mia edizione c'è il secondo, e per questo l'ho usato nella recensione.
Libro di marzo per la sifda di lettura: Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Uno di quei classici che non sono mai riuscita a leggere.
RispondiEliminaE' nella mia libreria ormai da anni e non ho mai avuto il coraggio di prenderlo e leggerlo da cima a fondo, pur avendolo iniziato non so quante volte.
Probabilmente è la narrazione lenta, soprattutto all'inizio che mi frena da morire.
Magari un giorno o l'altro ci ripenso e mi metto d'impegno per leggere magari anche soltanto gli ultimi capitoli :)
Quello che ha salvato me dalla lentezza di alcuni capitoli è unicamente lo stile di Melville: imho scrive così bene che probabilmente mi piacerebbe anche la sua lista della spesa :P
EliminaCmq di tutti i libri ambientati in mare che ho letto, Moby Dick è l'unico dove non c'è neanche una tempesta: Melville è troppo preso a spiegare tutto quello che può della vita marittima per abbellire il racconto con intoppi random XD