Spoiler free sul volume in questione, ma se non avete letto il primo procedere con cautela e non leggere la trama del libro che ci stanno tre o quattro colpi di scena chiave.
Rin è in fuga. Tormentata dalle atrocità che ha commesso per salvare il suo popolo, dipendente dall'oppio, governata dal volere omicida della Fenice, la divinità vendicatrice che le ha donato il suo spaventoso potere, Rin ha solo un motivo per continuare a vivere: vendicarsi dell'Imperatrice che ha venduto la sua patria, Nikan, ai nemici. E l'unico modo per farlo è allearsi con il potente signore della guerra Dragon, che vuole conquistare Nikan, deporre l'Imperatrice e instaurare una repubblica. E così Rin si getta anche in questa lotta. Perché in fondo lottare è ciò che sa fare meglio
Mi trovo in quella drammatica situazione in cui devo recensire un testo cercando di rimanere il più spoiler free possibile e sarà difficile perché tutto ciò che accade in questo volume è diretta conseguenza di quanto accaduto nel precedente: La Guerra dei Papaveri ha diversi eventi che possono essere considerati autoconclusivi. Tuttavia sono anche eventi che hanno conseguenze, ed è in base a quelle che i personaggi presenti ne La Repubblica del Drago si muovono e prendono decisioni.
Questo secondo volume mette in chiaro che non si torna indietro: se nel precedente si poteva parlare, per la prima metà, di uno young adult con una forte componente accademica, in questo siamo non solo in una campagna militare ma in un paese devastato dalle conseguenze della guerra. Qualsiasi possibilità lettori e personaggi avessero di fare un passo indietro, di tornare ad una parvenza di status quo, non è che viene tolta dalla scacchiera ma diventa evidente che non ci è mai stata in primo luogo.
È un volume in cui si affrontano conseguenze: Rin deve affrontare il peso delle decisioni prese, e deve farlo mentre la vita dei suoi compagni dipende da lei… ed ho apprezzato come fosse chiaro quanto sia profondamente inadatta al ruolo di comando: troppo giovane, troppo dipendente da un potere che non sa controllare del tutto ma troppo inesperta per essere presa sul serio se non lo usa come deterrente. Rin oscilla costantemente tra il desiderio infantile di trovare un adulto che possa occuparsi della situazione e dirle cosa fare, e la frustrazione nata dal fatto che l’adulto in questione non la pensi come lei.
Ma se c’è una cosa che devo ammettere, è che la gestione di Rin a volte sembra entrare in contraddizione con sé stessa: nel primo volume ci veniva descritta come una notevole stratega, ma all’atto pratico no. Cambia spesso idea ed obbiettivo, ed è spesso vittima di manipolazioni altrui e con una scarsa capacità di vedere la situazione nel suo insieme. Se da un lato non trovo mai spiacevoli i difetti nei protagonisti, dall’altro non mi piace quando questi sembrano involontari… e nel caso in questione non capisco: il punto di vista di Rin è parziale, quindi è coerente che ci sia una discrepanza tra la percezione e i fatti, ma non mi ha convinta al 100%.
Per quanto concerne l’ambientazione, ho apprezzato il lavoro svolto da R.F. Kuang: non si limita a scrivere che la guerra è brutta e cattiva, ma mostra i crimini – particolarmente orribili perché reali, mostra l'impatto sui civili, la disgregazione politica, e mette in chiaro sia come ci vorranno anni perché la nazione si possa riprendere, sia come per alcuni il caos rappresenti un’opportunità per il cambiamento.
Una cosa che mi aveva lasciata perplessa, durante la lettura del primo volume (e per certi versi si tratta di una perplessità che mi ha accompagnata per tutta la trilogia) è la rappresentazione di determinati popoli: c’è poco da fare, i nomi possono essere immaginari quanto ti pare, ma l’invasore è il Giappone. E siccome il libro si ispira ad una pagina particolarmente infamante della storia giapponese, ed il punto di vista è quello del popolo invaso, si tratta di personaggi senza alcuna caratteristica redentoria. Ogni soldato è una macchietta, considerato un mostro non meritevole di compassione da Rin e dagli altri personaggi. Da un lato è comprensibile, perché Rin e i suoi compagni sono stati invasi, sono stati massacrati, e non hanno voglia di umanizzare il nemico. Ma dal punto di vista dei lettori, non potevo fare a meno di chiedermi come possa essere percepito il testo in Giappone.
Poi in questo volume entrano in gioco gli occidentali. Gli occidentali che arrivano con la loro religione, la loro cultura, la sacra missione di cancellare le altre culture perché inferiori, la voglia di prendere terre e risorse di altri popoli perché l’Occidente è meglio e ha armi più pericolose.
In questa trilogia i personaggi che somigliano a noi e vengono dal nostro contesto o sono i cattivi o sono il male minore a breve termine ma non necessariamente a lungo termine.
D’altronde la rappresentazione può anche andare in due direzioni.
Un aspetto che invece viene quasi tralasciato, in questo volume, è la parte fantasy: ho avuto un po’ l’impressione che da quel punto di vista la Kuang si fosse messa all’angolo da sola, rendendo Rin troppo overpower e pertanto ha avuto la necessità di bloccarla, in qualche modo. Come ho scritto l’altra volta, in questa serie l’elemento fantasy è molto funzionale alla trama o alle conseguenze che può avere sulla psiche degli sciamani.
Quindi, in definitiva, La Repubblica del Drago non soffre della sindrome da secondo volume: viene portata avanti la crescita dei personaggi, e si avverte nelle pagine come le conseguenze delle vicende vada a colpire un’intera nazione e non una località ristretta… e allo stesso tempo è chiaro come questa nazione sia solo una piccola parte di un mondo intero. Se La guerra dei papaveri non vi ha convinto del tutto, date una possibilità al secondo volume.
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