lunedì 11 gennaio 2021

Tito di Gormenghast

Tito di Gormenghast, di Mervyn Peake.

Riuscirà la nostra eroina a riprendere in mano il blog in modo semi-decente?
Oggi lo scopriremo.
C'è da dire che l'inizio del 2021 mi ha un po' sopraffatta, tra quanto successo in America (e la sconcertante consapevolezza che la persona che ha in mano i codici nucleari è stata giudicata non idonea a gestire un account twitter) e vicende personali come trovarsi con una gomma a terra in superstrada di notte in uno dei giorni più freddi dell'anno.
Mi sembra quindi giusto provare a tornare su questi lidi con una recensione particolarmente complessa, sia perché ormai il libro l'ho letto diverso tempo fa, sia perché è un libro difficile.

«Peake ha creato una nuova categoria, il Gormenghastly, e già ci meravigliamo di come prima potessimo vivere senza di essa e ci chiediamo come mai nessuno aveva saputo definirla prima di lui». - C.S. Lewis

La difficoltà che si prova a dover parlare di Tito di Gormenghast credo si possa notare anche nella quarta di copertina: non ci hanno nemmeno provato, limitandosi alla citazione colta per far capire che siamo di fronte a qualcosa di molto apprezzato.
Eppure, devo ammettere di non averne mai sentito parlare, se non una volta di sfuggita qui su blogger in un modo tale da convincermi ad andare a cercare questo titolo... e poi scoprire che era fuori catalogo.
Ovviamente.
Poi, qualche anno fa, la Adelphi lo ha ristampato e io l'ho preso subito, anche se ci ho messo tanto a leggerlo perché è il primo di una trilogia e non volevo dover aspettare troppo tra un volume e l'altro, ma adesso che è stata pubblicata tutta, ho potuto finalmente iniziare.

Tito di Gormenghast è un libro strano: rientra nella narrativa fantastica, eppure al suo interno non c'è un solo briciolo di magia, né le razze o le ambientazioni che siamo abituati ad associare a questo genere letterario.
Però, alla fine, il fantastico è anche la creazione di un mondo, e qui ce n'è uno magistrale, assurdo, complesso e completo in modo tale da rappresentare un paradosso.
Perché ad un primo sguardo Gormenghast non dovrebbe essere un mondo: è un castello.

Un microcosmo costruito con talmente tanta perizia e abilità da Peake da far quasi sembrare una bestemmia il definirlo tale: noi lettori siamo col punto di vista di chi ci vive, e pertanto lo percepiamo non come un edificio ma come una specie di creatura, talmente antica da essere eterna, che nessuno conosce fino in fondo. Una costruzione sconosciuta ai suoi abitanti, con strade perdute, zone inesplorate, terreni da scoprire come se fossero veri e propri continenti, un libro dove scalare un muro può portare ad un'emozione simile alla scoperta dell'America.
Gormenghast si presenta quindi come un mondo, e come tale ha abitanti, regole, e riti: il castello, infatti, è la dimora dei conti de' Lamenti, il cui scopo sembra essere... stare lì, seguire il cerimoniale, e dare a tutti gli altri un motivo per muoversi e fare cose.
Sono figure strane, quelle che compongono la nobile famiglia, sembrano più personaggi malamente fissati su un bizzarro quadro, piuttosto che persone, intrappolate in un ruolo che non pare avere molto senso, le cui uniche ambizioni concesse sembrano riguardare la propria posizione all'interno del castello.
E questo è un tratto che condividono con tutti gli altri: se i vari servitori appaiono più vivaci, più vivi, rispetto ai conti, dalle pagine continua a strisciare questa consapevolezza che tutti esistono in virtù della parte che svolgono all'interno di Gormenghast, come unico scopo mantenere lo status quo.

La stessa nascita di Tito diventa paradossale: un bambino dovrebbe essere quanto di più vivo e nuovo ci sia, invece la sua esistenza altro non è che un motivo per far partire tutto un nuovo tipo di cerimonia, volta ad indirizzare il bimbo ad un futuro già scritto.
Quello che noi vediamo sono personaggi intrappolati all'interno di tradizioni che hanno ormai perso di significato e pertanto verrebbe naturale pensare di trovarsi di fronte ad un libro incredibilmente statico, ma invece è un libro che trasuda vitalità, perché nonostante tutto noi riusciamo a vedere desideri, ambizioni, amori e passioni che escono dagli spessi muri di Gormenghast. L'eccentrica Fucsia, l'ambizioso Ferraguzzo... sono solo alcuni dei personaggi che vediamo lottare contro l'opprimente immobilità di Gormenghast, pensare che ci possa essere qualcosa di diverso, o che possa esserci qualcos'altro oltre al castello.

E quindi, paradossalmente, Gormenghast che inizialmente sembrava un mondo completo, via via che si va avanti diventa sempre più simile ad un prigione che invece tiene il mondo vero fuori, ad un tale livello che i suoi abitanti sembrano essersi scordati che esista.
Ad un tale livello che tu, lettore, inizi a dubitare che ci sia, qualcosa che vale la pena esplorare al di là delle dinamiche che abbiamo sotto agli occhi.

Tito di Gormenghast è un libro particolare, strano, con personaggi bizzarri e spesso grotteschi, a tinte gotiche ma senza esserlo del tutto. È scritto benissimo, e non posso che consigliarlo a tutti anche se non è per tutti.

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