mercoledì 22 novembre 2017

Le ultime levatrici dell'East End

Le ultime levatrici dell'East End, di Jennifer Worth.

Trovo sempre malinconica la fine di un mondo, anche quando è stata più di mezzo secolo fa e per motivi giusti.

Quando Jennifer Worth, poco più che ventenne, decise di abbandonare il comfort della sua vita per andare a lavorare come levatrice in una delle zone più povere della Londra del dopoguerra, non solo aiutò a far nascere centinaia di bambini e diede supporto a moltissime famiglie e persone disperate, ma divenne al tempo stesso la più interessante portavoce della vita di un intero quartiere oggi completamente scomparso. 
In questo ultimo episodio della fortunata trilogia, la levatrice dell’East End londinese chiude il cerchio della sua intensa esperienza al convento della Nonnatus House, tra le suore, provette ostetriche, e le eroiche colleghe pronte ad affrontare qualsiasi difficoltà. Stanno arrivando gli anni Sessanta e la zona degradata dei docks del Tamigi subisce un’importante trasformazione. Gli aerei hanno rimpiazzato le navi mercantili rendendo superflua l’attività portuale, è iniziata la demolizione degli edifici danneggiati dai bombardamenti, gli abitanti del quartiere vengono trasferiti fuori Londra. Con l’arrivo del sistema sanitario nazionale, con l’aumento dei parti in ospedale e l’avvento della pillola nel 1963, le suore della Nonnatus House si trovano a dedicarsi ad altro: abuso di droghe, assistenza ai senzatetto, ai sordomuti, in un mondo e una società che sta cambiando per sempre, narrati con stile coinvolgente e ricco di humour, e con trascinante passione politica e sentimentale.

La trilogia dedicata alle levatrici di Jennifer Worth, per me, è importante: è una testimonianza di prima mano che racconta non solo un mondo che non c'è più, ma anche una tappa fondamentale per arrivare al mondo com'è oggi. L'allora giovane ed ingenua Jennifer non poteva sapere che avrebbe svolto un ruolo importante, uno di quelli che preparano il terreno a grandi cambiamenti sociali e politici, ma lo sapeva per certo la vecchia Jennifer, quella che ha guardato indietro all'Inghilterra com'era e poi al presente.
Con questi libri, ci ha lasciato la memoria di quelle donne che - a cavallo di una bicicletta, incuranti del pericolo e senza farsi spaventare da niente - hanno fatto nascere migliaia di bambini; hanno portato l'assistenza sanitaria a chi, altrimenti, non avrebbe avuto niente; hanno cancellato il terrore scatenato dall'ombra dell'ospizio dei poveri, che ancora allungava i suoi artigli su chiunque fosse anziano abbastanza da ricordarlo.
Se il primo libro (Chiamate la levatrice) si concentrava sul ruolo della levatrice, su storie di madri e maternità, e il secondo (Tra le vite di Londra) sugli strascichi lasciati dagli ospizi e gli anziani rimasti soli, Le ultime levatrici dell'East End coniuga le due cose, offrendoci forse il quadro più completo della vita e della società alla fine degli anni '50.
Il vento di cambiamento viene presentato quasi subito, in modi sottili, a mostrare un mondo che va avanti mentre le levatrici iniziano a restare indietro: una di loro che, sopraffatta dal traffico, finisce con la vecchia bici nel tunnel riservato ai camion rischiando seriamente la vita. Un neonato che muore dopo nemmeno un giorno per una complicazione non diagnosticabile con un'assistenza prestata solo le prime ore dopo la nascita.
Ma in questo libro Jennifer Worth riesce a parlare di cose ancora più pesanti rispetto a quanto visto prima: la mortalità infantile, e come venisse "aiutata" da genitori disperati; gli aborti clandestini praticati da macellai senza le competenze necessarie; le epidemie e la tisi; il Contagious Diseases Act, che non sapevo cos'era e o mio Dio. C'è la disperazione e le cose orribili che brave persone sono spinte a fare, c'è - in alcuni casi - la deliberata cattiveria, la perversione, la stupidità, delle istituzioni e delle misure di contrasto della povertà, che sul serio, chi le ha concepite era un sadico (vedi Contagious Diseases Act).
Eppure la Worth riesce a non renderla una lettura che porta solo dolore perché continuano ad esserci loro, le suore della Nonnatus House e le giovani levatrici.
Sorella Monica Joan che scopre i taxi; Chummy che viene corteggiata; un indovinello impossibile da risolvere. C'è ancora la dignità di coloro che vengono assistiti e una scrittura che mai, mai, si permette di giudicare, nemmeno quando si parla di infanticidio o di prostituzione minorile.
Questa credo sia una delle cose che più amo di questa trilogia: Jennifer Worth non sale mai in cattedra, non cade mai nel moralismo spicciolo, non minimizza ciò che non può capire.
Non insegna, ma si mette a servizio.
E sì, lo dice anche lei che veder chiudere Nonnatus House è triste, ma ci dice anche che non dobbiamo esserlo: il mondo delle levatrici non finisce perché non lo finanziano più ma perché non ce n'è più bisogno, perché c'è un sistema sanitario nazionale che funziona, perché arriva la pillola e il controllo delle nascite, e questo è un bene.
Ma ci sarà sempre bisogno di infermiere e suore, di assistenza ai malati terminali, di qualcuno pronto a stare accanto ai malati di AIDS quando la diagnosi era una condanna a morte senza speranza alcuna.
Ecco, questi libri - oltre al pezzo di storia che mostrano - sono anche la prova che non importa quanta bruttura ci sia al mondo, c'è anche chi ritiene suo dovere affrontarla.

E sono scritti così bene: mai pesanti, ironici, e tanto commuoventi. Fatevi un favore: leggeteli.


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